Durante la pandemia le aziende stanno facendo sempre maggior uso del lavoro agile. Ma conviene?
Per evitare contagi senza dubbio, e se i dipendenti non si contagiano l’azienda ha minori costi, ma in termini di produttività? La società di multiservizi Acea, che lavora nel settore idrico, energetico e ambientale, quasi 8 mila dipendenti operanti nel centro Italia e all’estero, ha studiato la produttività del lavoro agile, insieme all’Università Bocconi di Milano e al Dipartimento di Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri. 300 persone osservate tra il 2016 e il 2017, quindi prima dell’attuale emergenza sanitaria.
I risultati: i lavoratori in modalità “lavoro agile” sono più produttivi del 3-4% rispetto agli altri. Fanno, inoltre, minori assenze dal lavoro ed è aumentata anche la soddisfazione per il lavoro da parte dei dipendenti.
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Il lavoro da casa, molto diffuso in questi tempi di emergenza, ha di sicuro dei vantaggi: risparmio sui mancati spostamenti in auto, maggiore flessibilità, possibilità di conciliare meglio lavoro e vita privata.
Ma allo stesso tempo possono intervenire alcuni svantaggi: può aggravare nei lavoratori il senso di isolamento, la dipendenza dalle tecnologie, la privazione del sonno, l’esaurimento emotivo, l’ansia e il burnout.
Il Parlamento Europeo intende contenere questi possibili disagi e ha chiesto alla Commissione Europea di emanare una direttiva sulla “disconnessione”: le aziende non devono pretendere che l’attività da casa si estenda anche fuori dall’orario di lavoro. La Commissione Europea, pertanto, deciderà le indicazioni generali che i singoli Stati europei dovranno poi recepire, ovvero dovranno decidere più nel dettaglio come le aziende dovranno comportarsi.